Documento congiunto su “Storia naturale della malattia renale nel diabete e trattamento dell’iperglicemia nei pazienti con diabete di tipo 2 e ridotta funzione renale”

Società Italiana di Diabetologia (SID) e Società Italiana di Nefrologia (SIN)

A cura del Gruppo di Lavoro Intersocietario SID-SID sulla Nefropatia Diabetica:

Giuseppe Pugliese, Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare, Università “La Sapienza”, e UOC di Medicina Specialistica Endocrino-Metabolica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant’Andrea, Roma; giuseppe.pugliese@uniroma1.it (SID; Coordinatore)

Federica Barutta, Dipartimento di Scienze Mediche, Università di Torino, Torino; federica.barutta@unito.it (SID)

Andrea Natali, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa, e UOC di Medicina Generale, Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, Pisa; andrea.natali@med.unipi.it (SID)

Giuseppe Penno, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa, and UOC di Malattie Metaboliche e Diabetologia, Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, Pisa; pgiuse@immr.med.unipi.it (SID)

Luca De Nicola, Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche Avanzate, Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, e UOC di Nefrologia e Dialisi, Ospedale “Santa Maria del Popolo degli Incurabili”; Napoli; luca.denicola@unicampania.it (SIN)

Salvatore Di Paolo, UOC di Nefrologia, Ospedale “Mons. Dimiccoli”, Barletta; salvatoredipaolo@libero.it (SIN)

Gianpaolo Reboldi, Dipartimento di Medicina, Università di Perugia, e UOC di Nefrologia e Dialisi, Ospedale “Santa Maria della Misericordia”, Perugia; paolo.reboldi@unipg.it (SIN)

Loreto Gesualdo, Dipartimento dell’Emergenza e dei trapianti di organi, Università “Aldo Moro”, e UOC di Nefrologia, Dialisi e Trapianto, Azienda Ospedaliero-Universitaria Consorziale Policlinico, Bari; loreto.gesualdo@uniba.it (SIN; Coordinatore eletto)

 

 

Introduzione

La nefropatia diabetica è una delle maggiori complicanze a lungo termine del diabete, che colpisce circa il 30% dei pazienti con diabete di tipo 1 (DT1) e il 40% di quelli con diabete di tipo 2 (DT2) [1]. Attualmente rappresenta la principale cause di insufficienza renale terminale (end-stage renal disease, ESRD) nel mondo, essendo responsabile di circa il 40% dei nuovi casi che richiedono terapia sostitutiva renale [2]. Recentemente, svariati studi epidemiologici hanno evidenziato l’eterogeneità della storia naturale di questa complicanza, così da suggerire l’uso del termine “malattia renale nel diabete” (diabetic kidney disease, DKD) per comprendere tutte le forme di danno renale che si osservano nei pazienti diabetici [3]. In particolare, oltre al classico fenotipo albuminurico, sono emersi due nuovi fenotipi, “l’insufficienza renale non albuminurica” e il “declino renale progressivo”, che suggeriscono come la progressione della DKD verso l’ESRD sia nel DT1 che nel DT2 possa avvenire seguendo due vie distinte, preannunciate rispettivamente da un incremento dell’albuminuria e da una diminuzione del filtrato glomerulare (glomerular filtration rate, GFR) [4]. Inoltre, negli ultimi anni, il trattamento dei pazienti con DT2 e ridotta funzione renale è profondamente cambiato, sia per la disponibilità di nuovi farmaci anti-iperglicemici che per la rivalutazione delle soglie di GFR per l’uso di alcuni dei vecchi farmaci in questi soggetti [5]. Questo documento congiunto della Società Italiana di Diabetologia (SID) e della Società Italiana di Nefrologia (SIN) passa in rassegna la storia naturale della DKD alla luce della recente letteratura epidemiologica e fornisce delle raccomandazioni aggiornate sulla terapia con farmaci anti-iperglicemici non insulinici nei pazienti con DT2 e ridotta funzione renale.

Storia naturale della DKD

Nella classica rappresentazione a 5 stadi della storia naturale della nefropatia diabetica, la microalbuminuria rappresenta la prima anomalia che compare negli individui affetti da questa complicanza. Successivamente essa progredisce a macroalbuminuria, che a sua volta precede il declino del GFR, generalmente in parallelo con lo sviluppo e la progressione della retinopatia [6]. Per tale ragione, lo screening e la diagnosi della nefropatia diabetica si sono tradizionalmente basate sulla rilevazione dell’albuminuria [7]. L’albuminuria, inoltre, è stata a lungo considerata il principale fattore prognostico sia per la progressione ad ESRD che per la morbilità e mortalità da malattia cardiovascolare (cardiovascular disease, CVD) [8]. Infine, gli studi clinici con agenti nefroprotettivi, come i bloccanti del sistema renina-angiotensina (renin-angiotensin system, RAS), hanno in genere valutato l’efficacia di questi farmaci nel bloccare la progressione e/o favorire la regressione dell’albuminuria da una categoria all’altra [9], in base all’assunto che la riduzione dell’albuminuria nei pazienti diabetici si riflette in un miglioramento degli outcome renali e cardiovascolari [10].

Questo modello della storia naturale della nefropatia diabetica centrato sull’albuminuria è stato messo in discussione da numerose osservazioni epidemiologiche accumulatesi negli ultimi decenni riguardo all’incidenza e alla prevalenza della DKD e delle sue principali manifestazioni, ovvero l’aumento dell’albuminuria e la riduzione del GFR, in genere stimato mediante l’uso di svariate formule (estimated GFR, eGFR).

Questi dati hanno indicato che il peso complessivo della DKD non è diminuito nel corso di questi anni. Analisi trasversali seriali dei dati del National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES) dal 1988 al 2014 hanno mostrato che, tra gli adulti statunitensi con diabete, la prevalenza della DKD è rimasta invariata in questo periodo [11]. Al contrario, studi trasversali seriali condotti su una popolazione diabetica giapponese hanno mostrato che la prevalenza della DKD è aumentata dal 18.5% nel 1996 al 25.6% nel 2014 [12]. Infine, i dati del National Health Interview Survey, del National Hospital Discharge Survey, del US Renal Data System, e del US National Vital Statistics System hanno rivelato che, tra le principali complicanze del diabete, l’ESRD è quella che ha mostrato la diminuzione minore negli anni tra il 1990 e il 2010 tra gli adulti statunitensi con diabete, probabilmente per effetto della marcata riduzione dell’incidenza di infarto miocardico acuto ed ictus, che può aver favorito la progressione della DKD verso le sue fasi avanzate attraverso la riduzione della mortalità da CVD [13].

Per converso, rilevanti cambiamenti sono stati riportati nella prevalenza dell’albuminuria e dell’eGFR ridotto. I dati del NHANES hanno mostrato che, tra il 1988 e il 2014, la prevalenza dell’albuminuria è diminuita del 24% (rapporto di prevalenza aggiustato 2009-2014 versus 1988-1994, 0,76 [intervallo di confidenza al 95%, 0,65-0,89)], P<0,001), quella della macroalbuminuria è rimasta stabile (0,82 [0,59-1,14], P=0,22), e quella dell’eGFR <60 ml/min/1,73 m2 e soprattutto <30 ml/min/1,73 m2 è fortemente aumentata (1,61 [1,33-1,95], P<0,001, e 2,86 [1,38-5,9]), P<0,004, rispettivamente) [11]. Variazioni simili nella prevalenza dell’albuminuria e dell’eGFR ridotto sono state riportate nella popolazione diabetica giapponese dal 1996 al 2014 [12].

Questi opposti andamenti temporali della prevalenza di albuminuria ed eGFR ridotto riflettono il fatto che la remissione/regressione della microalbuminuria (e anche della macroalbuminuria) a normoalbuminuria è un’evenienza sempre più comune, di gran lunga più frequente della progressione a proteinuria, sia nel DT1 [14-16] che nel DT2 [17-19], mentre la perdita di eGFR, una volta iniziata, continua a progredire inesorabilmente verso l’ESRD, seppure a velocità ampiamente variabile. Questa crescente divergenza tra albuminuria ed eGFR ridotto è in contrasto con la visione classica per cui l’albuminuria invariabilmente precede e sostiene la perdita di eGFR, a suggerire che sia l’inizio che la progressione del declino della funzione renale possano avvenire anche indipendentemente dallo sviluppo dell’albuminuria e dalla sua successiva evoluzione. Questo concetto è supportato dall’identificazione di due nuovi fenotipi, l’insufficienza renale non albuminurica e il declino renale progressivo.

Box 1.
 La prevalenza della DKD non è diminuita e l’incidenza dell’ESRD si è ridotta soltanto di poco negli ultimi decenni, a fronte di rilevanti cambiamenti nelle due principali manifestazioni della DKD, l’albuminuria, la cui prevalenza è diminuita (con la macroalbuminuria che è rimasta stabile), e l’eGFR ridotto, la cui prevalenza è aumentata (soprattutto nel caso dell’eGFR <30 ml/min/1,73 m2).

 

1.1. Insufficienza renale non albuminurica e declino renale progressivo

Due vecchi studi hanno riportato che la riduzione della clearance della creatinina può verificarsi in pazienti con DT1 o DT2 che pure rimangono normoalbuminurici [20,21]. Queste osservazioni sono state confermate negli ultimi decenni, durante i quali la prevalenza del fenotipo non albuminirico è andata aumentando nei pazienti con DT2 (Tabella 1) e, seppure in misura minore, con DT1 (Tabella 2).

Un’analisi trasversale effettuata su adulti statunitensi con diabete del NHANES 1988-1994 ha mostrato che il 35.1% dei soggetti con eGFR <60 ml/min/1,73 m2, calcolato con la formula Modification of Diet in Renal Disease (MDRD), era normoalbuminurico e che l’albuminuria e la retinopatia erano entrambe assenti nel 29.8% dei pazienti con eGFR ridotto [22]. Successive analisi trasversali dei dati del NHANES hanno mostrato valori di prevalenza aggiustata più elevate (~50%) del fenotipo non albuminurico tra i soggetti con eGFR ridotto, calcolato con l’equazione Chronic Kidney Disease Epidemiology Collaboration (CKD-EPI), ovvero 45,8%, negli anni 1988-1994 [23], del 47,7%, negli anni 1999-2012 [24], del 51,8%, negli anni 2001-2008 [25], e del 48,1%, negli anni 2005-2008 [11]. Questi dati sono in accordo con la prevalenza decrescente dell’albuminuria e la prevalenza crescente dell’eGFR ridotto riscontrati tra gli adulti statunitensi [11] e giapponesi [12] con diabete.

Dati simili sono emersi da studi trasversali in coorti di pazienti con DT2 di diversi paesi. McIsaac et al hanno riportato che, tra 301 pazienti con DT2 visitati presso un ambulatorio in Australia negli anni 1990-2001, il 39,4% di quelli con GFR <60 ml/min/1,73 m2, misurato con metodica isotopica, erano normoalbuminurici [26]. Tutti gli studi condotti negli anni successivi hanno riportato una prevalenza crescente (aumentata dal 40% al 70% circa) del fenotipo non albuminurico tra i pazienti con DT2 ed eGFR ridotto, con differenze tra i vari studi dovute anche all’area geografica di provenienza e alla formula usata per calcolare l’eGFR. In dettaglio, sono state riportate le seguenti prevalenze: 40,1% nello studio Developing Education on Microalbuminuria for Awareness of renal and cardiovascular risk in Diabetes (DEMAND) (multinazionale, MDRD, 2003) [27,28]; 51,8% nello studio Japan Diabetes Clinical Data Management (JDDM) (Giappone, MDRD, 2005-2005) [29]; 54,2% nello studio National Evaluation of the Frequency of Renal Impairment cO-existing with NIDDM (NEFRON) (Australia, MDRD, 2005) [30,31]; 56,6% nello studio multicentrico italiano Renal Insufficiency And Cardiovascular Events (RIACE) (Italia, MDRD, 2006-2008) [32]; 61,9% in un’analisi dello Swedish National Diabetes Register (Svezia, MDRD, 2007) [33]; 63,7% nell’UK National Diabetes Audit (Regno Unito, CKD-EPI, 2007-2008) [34]; 48,2% nell’AMD-Annals Initiative (Italia, CKD-EPI, 2009) [35]; 69,9% in una coorte cinese (Cina, CKD-EPI, 2008-2009) [36]; 69,4% nello studio Prevalence of ease in Patients with Type 2 Diabetes (PERCEDIME2) Study (Spagna, MDRD, 2011) [37]; e 68,3% nei registri Diabetes-Patienten-Verlaufsdokumentation (DPV) e DIabetes Versorgungs-Evaluation (DIVE) (German1a, MDRD, 2010-2017) [38]. Prevalenze più basse sono state riportate in due indagini epidemiologiche condotte in Corea (23,7%) [39] e negli USA (Chronic Renal Insufficiency Cohort – CRIC – Study, 28,4%) [40], ma i pazienti il cui livello di albuminuria poteva essere correlato al trattamento con bloccanti del RAS sono stati esclusi da queste analisi.

Un’elevata prevalenza del fenotipo non albuminurico (tra il 45% e il 70% circa) è stata riscontrata anche in pazienti con DT2 arruolati in studi multicentrici multinazionali di intervento, nei quali i valori di prevalenza erano comunque influenzati dai diversi criteri di inclusione. In dettaglio, sono state riportate le seguenti prevalenze: 59,1% nello studio Fenofibrate Intervention and Event Lowering in Diabetes (FIELD) (MDRD, 1998-2000) [41]; 61,6% nello studio Action in Diabetes and Vascular disease: preterAx and diamicroN-MR Controlled Evaluation (ADVANCE) (MDRD, 2001-2003) [42]; 68,2% negli studi Ongoing Telmisartan Alone and in Combination with Ramipril Global Endpoint Trial (ONTARGET) e Telmisartan Randomised AssessmeNt Study in ACE iNtolerant subjects with cardiovascular Disease (TRASCEND) (MDRD, 2001-2004) [43]; e 46,8% nello studio Avoiding Cardiovascular Events in Combination Therapy in Patients Living with Systolic Hypertension (ACCOMPLISH) (MDRD, 2003-2005) [44].

Nell’insieme, questi dati supportano il concetto che l’insufficienza renale non albuminurica nel DT2 è aumentata di prevalenza nel corso degli ultimi decenni tanto da diventare il fenotipo prevalente tra i pazienti con eGFR ridotto. Attualmente, si stima che il 50-65% degli individui con DT2 non abbia DKD, il 20-30% abbia la DKD albuminurica con eGFR preservato (ovvero albuminuria isolata), e il 15-25% abbia eGFR ridotto: di questi, dei quali la maggior parte (8-16%) senza albuminuria (ovvero DKD non albuminurica o eGFR ridotto isolato) e il rimanente con albuminuria (ovvero DKD albuminurica con eGFR ridotto o combinazione di albuminuria ed eGFR ridotto) (Tabella 1).

Un’alta prevalenza del fenotipo non albuminurico è stata osservata anche in individui con DT1. Un’analisi trasversale della coorte dello studio Finnish Diabetic Nephropathy (FinnDiane) ha rilevato che il 15,5% dei 502 (13,1%) pazienti con DT1 con eGFR ridotto era normoalbuminurico (Finlandia, CKD-EPI, 1998-2005) [45]. Tuttavia, studi trasversali più recenti condotti in Italia e nel Regno Unito hanno riportato prevalenze molto più elevate (50-60% circa) del fenotipo non albuminurico tra i pazienti con DT1 ed eGFR ridotto, ovvero il 58,6% in una coorte toscana (Italia, MDRD, 2001-2009) [46]; il 48,9% e il 51,5% nell’AMD-Annals Initiative (Italia, CKD-EPI, 2004-2011) [47,48]; e il 54,4% nell’UK National Diabetes Audit (Regno Unito, CKD-EPI, 2007-2008) [34]. Questi dati sembrano indicare che la prevalenza dell’insufficienza renale non albuminurica è in aumento anche nel DT1 e che, oggigiorno, è almeno altrettanto frequente rispetto al fenotipo albuminurico tra gli individui con DT1 e ridotta funzione renale.

Analisi longitudinali condotte in pazienti con DT2 dello United Kingdom Prospective Diabetes Study (UKPDS) e in pazienti con DT1 del Diabetes Control and Complications Trial (DCCT) / Epidemiology of Diabetes Interventions and Complications (EDIC) hanno fornito informazioni sull’andamento nel tempo dell’albuminuria e dell’eGFR ridotto in questi individui. Nell’UKPDS, dei 1.132 individui (il 28,3% dell’intera coorte) che hanno sviluppato eGFR ridotto nell’arco di un follow-up di 15 anni, il 67,1% erano normoalbuminurici e il 50,8% è rimasto tale, mentre il 16,3% è diventato microalbuminurico successivamente (Regno Unito, Crockcroft-Gault) [49]. Allo stesso modo, nel DCCT/EDIC, degli 89 individui, il 6,2% dell’intera coorte, che hanno sviluppato eGFR ridotto nell’arco di un follow-up di 19 anni, il 23,6% era normoalbuminurico (Nord America, MDRD) [50]. Questi dati indicano non solo che l’eGFR può declinare prima dell’aumento dell’albuminuria, ma anche che l’eGFR ridotto può rimanere la sola alterazione renale in una quota rilevante di pazienti con DKD oppure può associarsi ad albuminuria solo successivamente. Pertanto, la DKD albuminurica con eGFR ridotto rappresenta un fenotipo eterogeneo di DKD, che comprende sia individui che hanno seguito il percorso classico sviluppando l’eGFR ridotto solo dopo lo sviluppo e la progressione della microalbuminuria che soggetti che hanno presentato inizialmente insufficienza renale non albuminurica e sviluppato l’albuminuria solo successivamente.

Infine, Krolewski et al hanno identificato il fenotipo del declino renale progressivo analizzando la pendenza dell’eGFR nei pazienti diabetici arruolati nei diversi Joslin Kidney Studies [51]. Questo fenotipo è stato osservato nel 19% degli individui con DT1 e nel 28% di quelli con DT2 [52] e attualmente rende ragione della maggioranza dei casi di ESRD nel DT1 [53]. Esso è caratterizzato da una perdita di eGFR che si manifesta precocemente (o tardivamente) nella storia naturale della nefropatia diabetica, quando i pazienti hanno ancora una normale funzione renale, e progredisce unidirezionalmente ad ESRD ad una velocità variabile, da lenta fino a molto veloce [52]. La progressione è risultata essere prevalentemente lineare, con soltanto una piccola percentuale di pazienti che mostravano un declino non lineare con accelerazione o decelerazione [53,54], sebbene l’uso di un modello in grado di gestire l’eterogeneità abbia rivelato che le traiettorie non lineari sono invece comuni nei pazienti con DT2 [55]. Può essere diagnosticato attraverso misurazioni seriali di creatinina e/o cistatina C sieriche, che consentono di stimare la pendenza dell’eGFR quando è ancora nel range di normalità [51,52]; i cosiddetti “decliners” sono di norma identificati in base ad una perdita annuale di eGFR >3 ml/min, mentre viene definita progressione rapida una perdita annuale di eGFR >5 ml/min, in accordo con le linee guida Kidney Disease: Improving Global Outcomes (KDIGO) [56]. Va soprattutto notato che l’inizio e la progressione di questo processo sono entrambi indipendenti dall’albuminuria. È stato infatti osservato in pazienti con qualunque livello di albuminuria, sebbene sia meno frequente tra gli individui con normoalbuminuria (9% nel DT1 e 20% nel DT2) che in quelli con microalbuminuria (22% nel DTI e 33% nel DT2) e macroalbuminuria (51% nel DTI e 68% nel DT2) [51,52,57-59]. Per converso, la maggior parte pei pazienti normoalbuminurici mantenevano la funzione renale stabile nel tempo [52,58], ma una quota sostanziale di non-decliners è stata osservata anche tra i pazienti proteinurici [52,59]. In aggiunta, sia nei decliners che nei non-decliners, l’albuminuria può progredire, rimanere stabile o regredire, sebbene la progressione sia più frequente tra i decliners e la regressione sia più frequente tra i non-decliners. Infatti, in una coorte di 79 pazienti microalbuminurici con DT1, la microalbuminuria era progredita a macroalbuminuria in 12 (50%) dei 24 decliners e in 10 (22,2%) dei 45 non-decliners, mentre era regredita in 3 decliners (12,5%) e 24 non-decliners (22,2%) [51].

Nell’insieme, questi dati indicano che l’albuminuria e l’eGFR ridotto possono comparire e procedere sia insieme che separatamente come manifestazioni complementari o “gemelle” della DKD [60] e che esistono due vie principali per l’inizio e la progressione della DKD, albuminurica e non albuminurica (Figura 1). Nella classica via albuminurica, la perdita di eGFR è preceduta e sostanzialmente determinata dallo sviluppo e progressione della microalbuminuria, per cui con la riduzione di quest’ultima ci si può aspettare un significativo rallentamento del declino della funzione renale. Nella emergente via non albuminurica, di cui l’insufficienza renale non albuminurica e il declino renale progressivo sono due facce della stessa medaglia, la perdita di eGFR è indipendente dall’inizio e dalla progressione della microalbuminuria e, pertanto, può non beneficiare della riduzione dell’albuminuria. Come tale, può sia manifestarsi in assenza di albuminuria (oppure subito prima o subito dopo lo sviluppo di microalbuminuria) sia progredire verso l’ESRD indipendentemente dal fatto che l’albuminuria rimanga stabile, progredisca o regredisca.

Figura 1. Vie albuminurica e non albuminurica di progressione della DKD. DKD = diabetic kidney disease; GFR = glomerular filtration rate; ESRD = end-stage renal disease.

 

Comunque, il grado di albuminuria [61], dagli incrementi nel range di normalità [62] fino alla proteinuria nel range nefrosico [63], rimane un potente predittore indipendente del declino dell’eGFR, specialmente in soggetti diabetici con eGFR basso. Un recente studio osservazionale ha valutato i rischi cardiorenali in pazienti diabetici (n=693) e non diabetici (n=1.491) con malattia renale cronica (chronic kidney disease, CKD) (eGFR <45 ml/min/1,73 m2 nel 75% della popolazione), stratificati in base al livello di proteinuria e seguiti per una mediana di 4,07 anni [64]. In assenza di proteinuria (<0.15 g/die), i pazienti diabetici non erano esposti ad un maggior rischio di ESRD rispetto ai soggetti non diabetici, ma lo erano in presenza di proteinuria moderata (0,15–0,49 g/die). Al contrario, in pazienti con proteinuria ≥0,50 g/die, il rischio di ESRD era principalmente determinato dal livello di proteinuria indipendentemente dallo stato diabetico [64]. Dati simili sono stati riportati dallo studio statunitense CRIC Study che ha seguito in maniera prospettica per una mediana di 6,3 anni 1.908 pazienti con DT1 o DT2 con eGFR ridotto (eGFR medio 41 ml/min/1,73 m2) [40]. La complessità di questo aspetto è ulteriormente aumentata se si considera che, nel contesto di un eGFR basso, il livello assoluto di proteinuria ha una limitazione fisiopatologica intrinseca, poiché dipende non solo dall’entità del danno renale ma anche dal numero e dalla funzione dei nefroni residui; pertanto, un basso livello di proteinuria può semplicemente essere la conseguenza di un basso eGFR. A questo riguardo, un recente studio prospettico multi-coorte in 3957 pazienti (29% diabetici) con eGFR <60 ml/min/1,73 m2 ha dimostrato che la proteinuria indicizzata per l’eGFR agisce come predittore indipendente di ESRD, associazione questa che è più forte di quella osservata con i livelli assoluti di proteinuria e nei diabetici rispetto ai non diabetici [65].

In considerazione della forte associazione tra albuminuria e declino dell’eGFR, numerosi studi hanno valutato se la riduzione dell’albuminuria si traduca in un miglioramento degli outcome renali nel lungo periodo. Una analisi congiunta di studi di intervento ha mostrato che, in entrambi i tipi di diabete, il decremento iniziale dell’albuminuria con il trattamento anti-Ipertensivo non predice il successivo declino dell’eGFR nella nefropatia iniziale (microalbuminuria ed eGFR preservato), ma solo nella malattia avanzata (macroalbuminuria ed eGFR ridotto) [66]. Infatti, nello studio DCCT/EDIC, la remissione della microalbuminuria in pazienti con DT1 non si associava ad una significativa riduzione del rischio di eventi avversi, incluso un eGFR persistentemente <60 ml/min/1,73 m2 [67], mentre nello studio ADVANCE, una riduzione “reale” dell’albuminuria si associava ad un rischio significativamente minore dell’outcome primario cardiorenale, ma non di eventi renali maggiori, in soggetti con DT2 [68]. Per converso, un’analisi post-hoc dello studio Reduction of Endpoints in NIDDM with the Angiotensin II Antagonist Losartan (RENAAL) ha mostrato chiaramente che, non solo i livelli basali di proteinuria, ma anche le modifiche nella proteinuria nei primi 6 mesi di terapia erano correlati al grado di protezione a lungo termine in pazienti proteinurici con DT2 [69]. Di recente, uno studio osservazionale nell’ambito del progetto Stockholm CREAtinine Measurements (SCREAM) [70] e due meta-analisi [71,72] che hanno incluso rispettivamente 31.732, 29.979 e 69.3816 pazienti con CKD (61%, 71% e 80% con diabete) hanno fornito l’evidenza conclusiva che una riduzione dell’albuminuria si associa ad una riduzione del successivo rischio di ESRD, a seconda del livello di albuminuria [71,72]. Nell’insieme, le conoscenze attuali supportano l’uso della modifica dell’albuminuria come outcome surrogato in studi disegnati per valutare l’efficacia di interventi finalizzati a bloccare la progressione della DKD, nel contesto di aumentati livelli di albuminuria [73].

Nonostante l’ampia mole di evidenze che indicano l’esistenza di differenti fenotipi di DKD, è ancora argomento di dibattito se il modello albuminurico e non albuminurico rappresentino percorsi realmente distinti che sottintendono differenti meccanismi patogenetici e fisiopatologici e quale sia la ragione del progressivo passaggio dalla classica presentazione albuminurica a nuovi fenotipi non albuminurici, l’insufficienza renale non albuminurica e il declino renale progressivo.

Box 1.1.
 Negli ultimi decenni sono stati osservati sempre più frequentemente due nuovi fenotipi, la “insufficienza renale non albuminurica”, in cui il declino dell’eGFR non è preceduto dallo sviluppo e dalla progressione della microalbuminuria e può rimanere l’unica alterazione renale, e il “declino renale progressivo”, il cui la perdita di eGFR rappresenta l’alterazione principale che si sviluppa e progredisce indipendentemente dalla presenza e dal grado di albuminuria e dalla sua successiva evoluzione. Questi fenotipi suggeriscono che lo sviluppo e la progressione della DKD avvengano anche attraverso una via “non albuminurica”, distinta dalla classica via “albuminurica”. Tuttavia, quando presente, l’albuminuria rimane un potente predittore di declino dell’eGFR e un bersaglio della terapia nefroprotettiva, specialmente in caso di alterazione della funzione renale di grado moderato o severo.

 

1.2. Impatto dei miglioramenti nel trattamento sulla storia naturale della nefropatia diabetica

Gli opposti andamenti temporali nella prevalenza dell’albuminuria e dell’eGFR ridotto e la crescente divergenza nella presentazione e nell’evoluzione delle due principali manifestazioni della DKD nel corso degli ultimi decenni suggeriscono che le modifiche nella storia naturale della nefropatia diabetica possano essere correlate alle modifiche nel tipo e nell’intensità delle misure preventive e terapeutiche finalizzate al controllo dei fattori di rischio noti per lo sviluppo e la progressione delle complicanze del diabete, inclusa la DKD. Infatti, analisi trasversali seriali dei dati di adulti statunitensi e giapponesi con diabete hanno mostrato un uso crescente di farmaci anti-iperglicemici, bloccanti del RAS e statine, che si è tradotto in un progressivo miglioramento del controllo glicemico, pressorio e lipidico dagli anni 90 agli anni 10 [11,12], a suggerire una relazione di causa-effetto con la riduzione della prevalenza dell’albuminuria e l’incremento della prevalenza dell’eGFR ridotto. Tuttavia, mentre la relazione con la riduzione dell’albuminuria è ben definita, è difficile capire se e come le modifiche nel trattamento siano risultate in un incremento dell’eGFR ridotto.

Una possibile spiegazione è la progressiva diminuzione della mortalità per tutte le cause e da CVD osservata nei diabetici per effetto dei miglioramenti nel trattamento [74], che può aver favorito la progressione verso l’eGFR ridotto. In aggiunta, l’aumento dell’età della popolazione dovuta alla diminuita mortalità può essersi tradotta in un’aumentata prevalenza dell’eGFR ridotto. I dati del NHANES sono però in contrasto con questa ipotesi, poiché l’aumentata prevalenza di eGFR ridotto si osservava sia nei soggetti più giovani che nei più anziani [11] e la riduzione della mortalità era confinata ai soggetti con albuminuria [75]. Piuttosto, il costante aumento della durata del diabete senza modifiche dell’età media riportati nella coorte del NHANES dal 1988 al 2014 [11] suggerisce un progressivo anticipo della comparsa del diabete, che è risultato essere un predittore indipendente di declino dell’eGFR in pazienti con DT2 [76]. Un’altra spiegazione è la progressiva riduzione della pressione arteriosa media nel corso degli ultimi due decenni tra gli adulti con diabete [11,12], che può essere esitata in una riduzione della pressione di perfusione renale e, di conseguenza, dell’eGFR in alcuni soggetti. Infine, gli opposti andamenti temporali nella prevalenza dell’albuminuria e dell’eGFR ridotto sono stati messi in relazione con l’uso dei bloccanti del RAS. Questi agenti, oltre a favorire la prevenzione e/o la regressione della micro/macroalbuminuria a normoalbuminuria [9], causano una caduta reversibile, di natura emodinamica dell’eGFR che può avere un significato clinico [77], sebbene nel lungo periodo rallentino il declino dell’eGFR [78], possibilmente grazie al loro effetto anti-proteinurico [69]. Questa interpretazione è supportata dal dato che, nel corso degli ultimi decenni, l’uso di bloccanti del RAS e la prevalenza del fenotipo non albuminurico sono aumentati in parallelo. Ad esempio, nel NHANES, l’uso di questi farmaci (% pesata e intervallo di confidenza al 95%) è aumentato dal 24,4% (21,0-28,3%) nel periodo 1998-1994 al 56,2% (52,3-59,9%) nel periodo 2009-2014 [11], mentre studi recenti riportano valori fino al 70% o più [32,33,35,45]. Anche la prevalenza molto più bassa dell’insufficienza renale non albuminurica quando i pazienti in trattamento con bloccanti del RAS venivano esclusi dall’analisi [39,40] è in accordo con l’ipotesi che i soggetti con il fenotipo non albuminurico sono coloro che non hanno sviluppato albuminuria o sono diventati microalbuminurici a un certo punto della storia naturale della DKD ma successivamente sono ritornati normoalbuminurici per effetto del trattamento con bloccanti del RAS, in assenza del quale si sarebbero presentati con il classico fenotipo albuminurico. Tuttavia, diverse evidenze sono in contrasto con questa interpretazione e supportano l’esistenza di due vie distinte, albuminurica e non albuminurica, per la progressione della DKD. Primo, una relazione tra uso di bloccanti del RAS e remissione/regressione dell’albuminuria è emersa in alcuni studi [17,18], ma non in altri [14,19,57,58,79]. In aggiunta, sia in studi trasversali che longitudinali, l’uso di bloccanti del RAS non era maggiore (e in alcuni casi era perfino minore) in soggetti con DT1 o DT2 e DKD non albuminurica rispetto a quelli con albuminuria ed eGFR preservato o ridotto [31,32,35,45,50] e una quota sostanziale di pazienti con il fenotipo non albuminurico non era in trattamento con questi farmaci [31-33,35,49,50]. Questi dati indicano sia che la DKD albuminurica si può sviluppare nonostante il trattamento con bloccanti del RAS sia che il fenotipo non albuminurico può presentarsi indipendentemente da tale terapia. Secondo, gli andamenti opposti nella prevalenza assoluta dell’albuminuria e dell’eGFR ridotto sono in contrasto con il dato che ridurre l’albuminuria con il blocco del RAS riduce la perdita di eGFR in soggetti con DT1 o DT2, specialmente in quelli con proteinuria [80-82]. Terzo, studi precedenti in pazienti con DT2 hanno mostrato che i correlati indipendenti dell’eGFR ridotto e dell’albuminuria differiscono tra loro, ovvero sesso femminile, stato di non fumatore, età e durata del diabete per l’eGFR ridotto e sesso maschile, stato di ex-fumatore o fumatore, emoglobina glicata (HbA1c), indice di massa corporea, circonferenza vita e retinopatia per l’albuminuria [29,49,83]. Quarto, l’insufficienza renale non albuminurica è risultata essere associata a caratteristiche cliniche distinte che corrispondono ai correlati dell’eGFR ridotto. Studi in pazienti con DT2 hanno infatti mostrato che, rispetto ai soggetti con le forme albuminuriche, quelli che si presentano con il fenotipo non albuminurico erano più frequentemente femmine, non fumatori, più anziani e con più lunga durata di malattia, sebbene le differenze riguardo ad età ed anni trascorsi con il diabete si osservassero solo rispetto ai soggetti con DKD albuminurica ed eGFR preservato [31,32,35]. In aggiunta, a differenza delle forme albuminuriche, il fenotipo non albuminurico mostrava nessuna associazione o soltanto una debole associazione con l’HbA1c e la variabilità della HbA1c, l’ipertensione e l’altra principale complicanza microvascolare del diabete, la retinopatia, con circa il 30-50% dei soggetti con eGFR ridotto che non mostravano né albuminuria né retinopatia [22,29,32,33,35]. Studi in pazienti con DT1 hanno riscontrato un’associazione con l’età, ma anche con la HbA1c, mentre nessuna relazione è emersa con il fumo [57,58].

Nell’insieme, questi dati supportano il concetto che le modifiche nel trattamento, che includono ma non si limitano all’uso dei bloccanti del RAS, hanno svelato l’esistenza di due vie diverse, avendo influenzato in maniera differente l’albuminuria e l’eGFR ridotto. Diminuendo l’albuminuria, i miglioramenti nel trattamento sono risultati infatti efficaci nel ridurre la progressione della DKD attraverso la classica via albuminurica. Al contrario, per effetto dell’impatto insufficiente di questi farmaci sul declino dell’eGFR, i miglioramenti nel trattamento non sono stati in grado di ridurre la progressione della DKD attraverso la via non albuminurica ma, favorendo la prevenzione e/o la regressione dell’albuminuria, hanno smascherato i nuovi fenotipi, l’insufficienza renale non albuminurica e il declino renale progressivo.

In parallelo con il crescente riconoscimento della via non albuminurica e dei nuovi fenotipi di DKD indipendenti dall’albuminuria, sono stati effettuati diversi studi per identificare nuovi bio-marcatori di declino dell’eGFR che potessero far luce sui meccanismi patogenetici che sottendono la via non albuminurica e migliorare la predizione della progressione della DKD indipendente dall’albuminuria.

Box 1.2.
  I miglioramenti nella gestione del diabete nel corso degli ultimi decenni, con il crescente uso di farmaci, soprattutto bloccanti del RAS, e i conseguenti miglioramenti nel controllo glicemico, pressorio e lipidico, sono stati efficaci nel ridurre la prevalenza dell’albuminuria, ma non dell’eGFR ridotto. L’aumentata prevenzione e/o regressione dell’albuminuria dovuta al migliorato trattamento ha smascherato i nuovi fenotipi, l’insufficienza renale non albuminurica e il declino renale progressivo, a indicare l’esistenza di una via non albuminurica per lo sviluppo e la progressione della DKD che è indipendente dall’albuminuria.

 

1.3. Bio-marcatori del declino dell’eGFR oltre l’albuminuria

Negli ultimi anni, una serie di studi in pazienti sia con DT1 che con DT2 hanno identificato svariati bio-marcatori sierici e urinari che sono correlati con il declino dell’eGFR indipendentemente dall’albuminuria e da altri variabili cliniche e che sono in grado di migliorare la capacità predittiva dell’ESRD.

Un’associazione indipendente tra livelli sierici di acido urico nel range normale-alto e il declino dell’eGFR è stata osservata in pazienti con DT1 [84,85] e DT2 [86-92] e anche in individui non diabetici [93]. L’associazione in pazienti con DT2 è stata confermata da una recente meta-analisi [92] ed è risultata essere ristretta agli individui con funzione renale preservata al basale [94]. Non è chiaro però come l’acido urico sierico possa innescare la perdita di eGFR, sebbene siano stati suggeriti meccanismi pro-infiammatori [95].

Tra i marcatori di infiammazione, i livelli circolanti dei recettori 1 e 2 del tumor necrosis factor (TNF), ma non quelli di TNFα libero e totale, sono risultati costantemente associati con il declino dell’eGFR in pazienti sia con DT1 [96-98] che con DT2 [91,99-103] e in grado di migliorare la capacità predittiva dell’ESRD quando aggiunti ad algoritmi che includevano variabili cliniche [91,100]. Altri marcatori di infiammazione che sono risultati essere indipendentemente associati con il declino dell’eGFR includono interleuchina (IL)-6 [104] e proteina C-reattiva [105] circolanti e monocyte chemotactic protein-1 (MCP-1) [106] urinaria, in pazienti con DT2, e marcatori infiammatori urinari multipli (IL-6, IL-8, MCP-1, interferon-γ-inducible protein, e macrophage inflammatory protein-1δ), in pazienti con DT1 [107].

Anche marcatori di danno tubulare sono stati associati con il declino dell’eGFR in entrambi i tipi di diabete. In dettaglio, i seguenti marcatori sono risultati essere predittori indipendenti di perdita di eGFR: kidney injury molecule-1 (KIM-1) sierica, in pazienti con DT1 [108], e livelli urinari di KIM-1 [109-111], β2-microglobulina [111], fatty acid–binding protein (FABP) epatica [112] e proteine non albuminiche [113] e liveli sierici di retinolbinding protein 4 (RBP4) [105], in pazienti con DT2. Comunque, altri studi non hanno dimostrato un’associazione indipendente tra marcatori di danno tubulare e declino dell’eGFR [114,115].

Altri bio-marcatori che sono stati associati alla perdita di eGFR includono: adiponectina ad alto peso molecolare [116], adiponectina [117], collageno IV [118,119] e aptoglobina [120,121] nelle urine; arginin vasopressina, misurata come copeptina [122], FABP adipocitaria [123], fibroblast growth factor 21 [124], chininogeno e frammenti del chininogeno [125], il fattore angiogenico leucine-rich a-2 glycoprotein 1 [126], l’ormone anti-invecchiamento Klotho solubile (bassi livelli) [127] e leptina (sia alti che bassi livelli) [128] nel sangue; e gli acidi grassi polinsaturi (polyunsaturated fatty acids, PUFA) totali, gli n-3 PUFA e rapporto n-3/n-6 PUFA, ma non gli n-6 PUFA (bassi livelli) negli eritrociti [104], tutti in pazienti con DT2 , tranne il collageno IV urinario, in individui con DT1 e DT2). In aggiunta, il CKD273, un classificatore multidimensionale del proteoma urinario che consiste di 273 frammenti proteici, prediceva il deterioramento della funzione renale in pazienti con [129] e senza [130] albuminuria e anche lo sviluppo di microalbuminuria in individui normoalbuminurici [131]. Infine, pannelli di marcatori multipli che rappresentano differenti meccanismi di malattia e includono bio-marcatori di infiammazione e di danno tubulare, sono risultati in grado di migliorare la predizione del declino dell’eGFR in pazienti con DT2 oltre i fattori di rischio tradizionali [132-137].

Un’associazione con il declino dell’eGFR è stata descritta anche per i bio-marcatori di CVD, specialmente la troponina T ad alta sensibilità [138] e la frazione di eiezione ventricolare sinistra [139], che probabilmente riflettono il contributo della disfunzione cardiaca cronica al deterioramento progressivo dell’eGFR nel contesto della sindrome cardio-renale di tipo 2 [140]. In aggiunta, la stiffness arteriosa, un marcatore di arteriosclerosi, è risultata essere negativamente associata all’eGFR [141] e un predittore indipendente del declino dell’eGFR [139,142], che probabilmente riflette il contributo della pressione e del flusso altamente pulsatili alla malattia dei piccoli vasi del rene [143]. Inoltre, il declino della funzione renale in individui con DT2 è risultato essere associata a diversi fattori di rischio modificabili della CVD [144].

Infine, l’iperfiltrazione, che è stata ipotizzata predisporre al danno irreversibile dei nefroni [145], è risultata anch’essa associata al declino dell’eGFR in pazienti sia con DT1 [146] che con DT2 [147], a suggerire che essa possa rappresentare un predittore di perdita di eGFR.

Queste osservazioni indicano che il declino dell’eGFR è associato a molteplici meccanismi che possono specificamente influenzare la funzione renale indipendentemente dall’albuminuria e determinare lo sviluppo e la progressione della DKD attraversa la via non albuminurica.

Box 1.3.
 Numerosi bio-marcatori, inclusi l’acido urico, marcatori di infiammazione, specialmente i recettori 1 e 2 del TNF, e marcatori di danno tubulare sono risultati essere associati al declino dell’eGFR indipendentemente dall’albuminuria e da altre variabili cliniche. Altri correlati indipendenti della Perdita di eGFR includono marcatori di CVD e arteriosclerosi. È stata anche riportata un’associazione con l’iperfiltrazione.

 

1.4. Meccanismi patogenetici e correlate anatomici del declino dell’eGFR indipendente dall’albuminuria

Le caratteristiche cliniche e biochimiche associate all’insufficienza renale non albuminurica e al declino progressivo della funzione renale rafforzano il concetto che la patogenesi di questi fenotipi differisce da quella dei fenotipi albuminurici e suggeriscono l’intervento di meccanismi operanti a livello vascolare e/o tubulo-interstiziale.

L’ipotesi di una natura prevalentemente (macro)vascolare delle lesioni che sottintendono questi fenotipi è supportata dall’associazione debole o assente dell’insufficienza renale non albuminurica con la retinopatia diabetica e l’HbA1c [22,32,148] e la relazione tra declino dell’eGFR e bio-marcatori di CVD e stiffness arteriosa, che suggeriscono il coinvolgimento delle arterie intra-renali. Questa evenienza è più probabile in individui con DT2, che presentano svariati fattori di rischio per la CVD in aggiunta all’iperglicemia, quali ipertensione, dislipidemia, obesità centrale e la stessa età avanzata, tutti in grado di contribuire al danno renale, sebbene in misura diversa in ciascun individuo [4,149].

L’ipotesi di una natura prevalentemente tubulo-interstiziale delle lesioni che sottintendono questi fenotipi è supportata dall’associazione del declino dell’eGFR con l’acido urico [84-94] e marcatori di infiammazione [91,96-107] e danno tubulare [108-113]. In aggiunta, due studi di piccole dimensioni in pazienti con nefropatia diabetica provata istologicamente hanno mostrato che il grado di fibrosi interstiziale e atrofia tubulare era un predittore indipendente del declino dell’eGFR [150,151]. È stato suggerito che episodi irrisolti e/o ripetuti di danno renale acuto (acute kidney injury, AKI) possano contribuire al declino dell’eGFR in individui diabetici [4], in accordo con la dimostrazione che l’AKI è un fattore di rischio per il successivo sviluppo (o progressione) della CKD, in funzione della sua severità, durata e frequenza [152]. Sebbene questa ipotesi sia improbabile nei pazienti con DT1, poiché le traiettorie sono risultate essere prevalentemente lineari in questi individui [53], essa non può essere esclusa in pazienti con DT2 [153], che sono più suscettibili all’AKI per la presenza di diversi fattori di rischio addizionali, quali una CKD pre-esistente, l’età avanzata, l’insufficienza cardiaca e l’ipertensione [152,154].

Purtroppo, non vi sono sufficienti dati bioptici renali che possano confermare l’ipotesi che lesioni prevalentemente (macro)vascolari e/o tubulo-interstiziali che sottintendono la via non albuminurica, rispetto alle tipiche lesioni microvascolari con prevalente danno glomerulare (ispessimento della membrana basale glomerulare, espansione mesangiale e glomerulosclerosi nodulare o diffusa) che caratterizzano la classica via albuminurica. Virtualmente in tutti gli studi disponibili la biopsia renale era stata infatti eseguita a fini diagnostici, ovvero in presenza di elementi di sospetto di una malattia renale non diabetica come le glomerulonefriti, che erano infatti altamente prevalenti, sia isolate che in combinazione con la nefropatia diabetica, come dimostrato da una meta-analisi che ha raggruppato 48 studi comprendenti 4.678 individui diabetici, prevalentemente con DT2 [155]. Oltre a mostrare una presentazione e/o un decorso atipici della malattia renale, virtualmente tutti i pazienti inclusi in questi studi avevano albuminuria e la maggior parte di essi era proteinurico; pertanto, non si può trarre alcuna conclusione riguardo al substrato anatomico dell’insufficienza renale non albuminurica e c’è bisogno di studi bioptici a scopo di ricerca specificamente focalizzati su questo fenotipo [156]. Il solo studio disponibile con queste caratteristiche ha esaminato biopsie renali eseguite su 31 pazienti DT2 con eGFR ridotto e normoalbuminuria (n=6, 19,4%), microalbuminuria (n=8, 25,8%) o macroalbuminuria (n=17, 54,8%). I risultati hanno mostrato che gli individui con micro/macro albuminuria avevano lesioni glomerulari tipiche, mentre metà di quelli con normoalbuminuria avevano lesioni atipiche (vascolari e/o tubulo-interstiziali) o nessuna lesione, ma l’altra metà presentava glomerulosclerosi diabetica, seppur associata con vari gradi di arteriosclerosi [157]. Un altro studio che ha incluso 260 pazienti giapponesi con DT2 e nefropatia diabetica provata istologicamente ha mostrato che lesioni glomerulari erano associate ad albuminuria, mentre lesioni glomerulari, tubulo-interstiziali e vascolari erano associate a eGFR ridotto ed erano più avanzate negli individui con normoalbuminuria e ridotta funzione renale che in quelli con normoalbuminuria ed eGFR preservato [158]. In aggiunta, tra i pazienti con eGFR ridotto, quelli con normoalbuminuria mostravano lesioni tubulo-interstiziali e vascolari di entità simile o più avanzate di quelle glomerulari, rispetto ai pazienti con micro o macroalbuminuria [158]. Comunque, un’ampia eterogeneità di lesioni renali è stata osservata anche in un precedente studio su 34 pazienti DT2 con microalbuminuria ed eGFR preservato, con 10 individui (29,4%) senza lesioni, 10 (29,4%) con lesioni glomerulari tipiche e 14 (41,2) con lesioni vascolari e/o tubulo-interstiziali atipiche; da notare che sia i livelli di HbA1c che la prevalenza di retinopatia erano più alti in quelli con lesioni tipiche [159]. Quindi, lesioni istologiche atipiche non sono specifiche dell’insufficienza renale non albuminurica, sebbene siano probabilmente più frequenti nei pazienti con questo fenotipo, e vice versa lesioni tipiche non sono specifiche della forma albuminurica. Peraltro, il ratto Cohen, un modello animale di DT2 con malattia renale non albuminurica, mostra solo lesioni glomerulari tipiche [160]. Inoltre, la classica glomerulopatia si riscontra praticamente in tutti i pazienti con DT1 di durata superiore a 5 anni [161] e, in forma più grave, in quelli con normoalbuminuria ed eGFR ridotto [162]. Non sono disponibili dati bioptici da individui con declino renale progressivo precoce e rapido, ad eccezione dell’osservazione che, in un piccolo campione di pazienti cinesi con DT2 e biopsia renale, il declino accelerato dell’eGFR era prevalentemente associato a glomerulosclerosi diabetica [55].

Pertanto, al momento, il fenotipo clinico non può essere messo in relazione ad uno specifico quadro anatomico, con la presenza o assenza di albuminuria che corrispondono a lesioni glomerulari tipiche e vascolari e/o tubulo-interstiziali atipiche, rispettivamente. Comunque, indipendentemente dal substrato anatomico dei nuovi fenotipi, l’eterogeneità della presentazione e del decorso clinico della DKD ha importanti implicazioni per la diagnosi, la prognosi e possibilmente il trattamento della DKD stessa.

Box 1.4.
 È stato ipotizzato che il fenotipo non albuminurico sottintenda lesioni vascolari e/o tubulo-interstiziali atipiche, anziché le tipiche lesioni glomerulari. Purtroppo, non vi sono dati bioptici sufficienti per confermare questa ipotesi, sebbene i dati disponibili indichino un’ampia eterogeneità di quadri anatomici nei pazienti con DT2, ma con DT1, che quasi invariabilmente presentano lesioni glomerulari classiche. Vi è pertanto la necessità di studi bioptici per scopi di ricerca focalizzati sul fenotipo non albuminurico.

 

1.5. Implicazioni diagnostiche, prognostiche e terapeutiche

Le linee guida attuali raccomandano di determinare sia l’albuminuria che l’eGFR per lo screening della DKD [5]. L’albuminuria dovrebbe essere misurata preferibilmente come rapporto albumina-creatinina urinarie (urinary albumin-to-creatinine ratio, UACR) in un campione di urine spot [56], in assenza di sintomi e segni di infezioni delle vie urinarie o di altre condizioni interferenti [56]. La determinazione del tasso di escrezione urinaria di albumina (urinary albumin excretion rate, UAER) in raccolte temporizzate o delle 24 ore è più problematica ma non più accurata dell’UACR, mentre la misurazione della concentrazione di albumina in campioni di urine spot senza la misurazione simultanea della creatinina urinaria è meno costosa ma anche meno accurata. Per via della variabilità biologica dell’albuminuria, è necessario che almeno due di tre campioni di UACR (o UAER) raccolti nell’arco di 3-6 mesi siano anormali prima di considerare un paziente albuminurico, sebbene nei soggetti con DT2 della coorte del RIACE il tasso di concordanza tra il primo valore e la media geometrica di 2-3 misurazioni fosse >90% per tutte le categorie di albuminuria [163]. L’eGFR dovrebbe essere calcolato dalla creatinina sierica usando una formula validata, preferibilmente l’equazione CKD-EPI [56]. L’emergenza del fenotipo del declino renale progressivo suggerisce l’importanza di monitorare le modifiche dell’eGFR nel tempo per identificare individui che stanno andando incontro ad una perdita di eGFR quando la loro funzione renale è ancora nel range normale. A tal fine, sebbene l’eGFR basato sulla cistatina C [164] o su cistatina C e creatinina [165] sia preferibile, misurazioni seriate delle creatinina sierica possono essere sufficienti, a condizione che siano frequenti (almeno una volta l’anno) e coprano un periodo di 3-5 anni [52].

La diagnosi di DKD viene abitualmente posta clinicamente, in base alla presenza di albuminuria e/o eGFR ridotto, in accordo con l’osservazione che l’assenza dell’albuminuria è un riscontro comune negli individui diabetici con disfunzione renale. Attualmente, una biopsia renale a fini diagnostici è indicata in caso di presentazioni atipiche che suggeriscono la presenza di altre malattie renali che possono beneficiare di trattamento specifico. Le caratteristiche cliniche che fanno sorgere il sospetto di una malattia renale non diabetica includono un inizio acuto della proteinuria o un rapido peggioramento della funzione renale, una durata di diabete <5 anni (solo nei pazienti con DT1), l’assenza di retinopatia (che comunque manca frequentemente anche in individui con DT2 e DKD, specialmente in quelli senza albuminuria), la presenza di un sedimento urinario attivo (globuli rossi o bianchi o cristalli cellulari), e sintomi o segni di altre malattie sistemiche [3]. Sebbene la reale prevalenza della malattia renale non diabetica negli individui diabetici è probabilmente <10% [1], questa possibilità deve essere sempre considerate e una biopsia renale dovrebbe essere effettuata in presenza dei criteri sopra elencati [156]. Per converso, una biopsia renale in pazienti con DKD non albuminurica sembrerebbe al momento non indicata, sebbene studi a fini di ricerca siano necessari per comprendere le basi anatomiche di questo fenotipo sempre più comune [156].

In base ai livelli di albuminuria ed eGFR, I pazienti dovrebbero essere poi assegnati alla corrispondente categoria di rischio in accordo con la classificazione KDIGO della CKD, che serve da guida per la frequenza del monitoraggio e indica il rischio di progressione all’ESRD, ma anche di eventi CVD [56]. Infatti, è noto da tempo che la CKD da qualsiasi causa è associata ad un rischio 2-4 aumentato di morbilità e mortalità da CVD sin dalle sue fasi iniziali pre-dialitiche, indipendentemente dai fattori di rischio tradizionali per CVD [166]. Sia nel DT1 [167,168] che nel DT2 [23,169], la DKD contribuisce notevolmente all’eccesso di mortalità per tutte le cause e da CVD, presumibilmente mediando la relazione tra iperglicemia ed eventi avversi. Mentre il rischio di morte correlato alla DKD è molto più alto negli individui più giovani, la DKD sembra rendere ragione da sola dell’eccesso di rischio di morte associato con il DT2 solo nei pazienti più anziani [169,170]. Sia l’albuminuria che l’eGFR ridotto sono risultati associati con la mortalità per tutte le cause e da CVD, indipendentemente l’una dall’altro, sia nella popolazione generale [171-174] che nei pazienti con DT1 [168,175] e DT2 [42,170,176].

Studi recenti hanno esaminato il rischio di morte associato con i differenti fenotipi di DKD in pazienti con DT2. Un’analisi post-hoc dello studio ADVANCE (10.640 partecipanti con DT2) ha mostrato che il rischio di morte da CVD associato con la DKD non albuminurica era simile a quello della microalbuminuria con un eGFR >90 ml/min/1,73 m2, ma più basso di quello della microalbuminuria con un eGFR 60-89 ml·min-1·1,73 m-2 e della macroalbuminuria con un eGFR >60 ml/min/1,73 m2 [42]. Per converso, un’analisi post-hoc dello studio FIELD (9.795 partecipanti con DT2) ha mostrato che il fenotipo non albuminurico era associato con un rischio più alto di morte da CVD, non CVD, e tutte le cause, a confronto con la microalbuminuria con un eGFR >60 ml/min/1,73 m2 e la macroalbuminuria con un >90 ml/min/1,73 m2 [41]. Tuttavia, per effetto dei criteri di inclusione, questi studi hanno incluso solo un numero limitato di individui con un eGFR <60 ml/min/1,73 m2. Lo studio di comunità di Casale Monferrato (1.565 pazienti con DT2) ha riportato un’associazione significativa tra eGFR ridotto e mortalità solo tra gli individui macroalbuminurici [176]. Al contrario, I dati del NHANES 1988-1994 (1.430 individui diabetici) hanno mostrato che la mortalità standardizzata a 10 anni tra i pazienti con il fenotipo non albuminurico era intermedia tra i fenotipi albuminurici di DKD con eGFR preservato e ridotto [23]. Nel Cardiovascular Health Study (691 diabetici anziani), il rischio aggiustato di morte era simile per l’albuminuria da sola e l’eGFR ridotto da solo [177]. Allo stesso modo, i dati della coorte del RIACE (15.773 pazienti con DT2) hanno mostrato che il rischio di morte dell’eGFR ridotto da solo era simile a quello dell’albuminuria da sola. Inoltre, nei pazienti normoalbuminurici con un eGFR tra 45 e 59 ml/min/1,73 m2, il rischio era simile a quello dei pazienti con microalbuminuria da sola e, in quelli con un eGFR <45 ml/min/1,73 m2, il rischio era simile a quello dei pazienti con macroalbuminuria da sola [178]. Infine, un’analisi recente dei dati del NHANES 2003-2006 ha mostrato che il rischio di morte standardizzato per età della DKD non albuminurica era più basso di quello della macroalbuminuria con eGFR 60-89 60 ml/min/1,73 m2, ma più alto di quelli della microalbuminuria da sola e della macroalbuminuria con eGFR >90 ml/min/1,73 m2 [75]. Da notare che questa stessa analisi ha mostrato che i tassi di mortalità negli adulti con diabete erano diminuiti tra gli individui con albuminuria aumentata e aumentati in quelli con eGFR ridotto e normoalbuminuria tra il 1988 e il 2006 [75]. Questi andamenti temporali divergenti della mortalità potrebbero anche spiegare, almeno in parte, le differenze nel rischio di morte associato all’albuminuria e all’eGFR ridotto isolati negli studi sopra menzionati. Dati simili sono stati riportati nei pazienti con DT1. Nello studio FinnDiane, il fenotipo non albuminurico era associato ad un aumentato rischio di morte da CVD e da tutte le cause nella stessa misura degli individui con sola albuminuria [45]. Allo stesso modo, in uno studio condotto in Toscana, il rischio di morte per tutte le cause associate con l’eGFR ridotto da solo era simile a quello dell’aumentata albuminuria da sola, con la mortalità più alta osservata nei pazienti con DT1 che presentavano sia eGFR ridotto che albuminuria [179].

Riguardo agli eventi CVD, i dati della coorte del RIACE hanno mostrato che, in individui con DT2, i valori aggiustati per età e sesso a partire dai quali si osserva un aumento significativo del “carico” della CVD sono vicini o all’interno del range di normalità, sia per l’eGFR (78,2 ml/min/1,73 m2) che per l’albuminuria (10,5 mg/die). Inoltre, la prevalenza di qualsiasi evento CVD era intermedia nel fenotipo non albuminurico, cioè più alta rispetto all’albuminuria da sola e più bassa rispetto ad albuminuria e eGFR ridotto combinati. È interessante notare che gli eventi coronarici erano correlati maggiormente con il fenotipo non albuminurico che non con le forme albuminuriche, mentre l’opposto si osservava per gli eventi cerebro-vascolari e periferici [180]. Lo studio ADVANCE ha mostrato che, nell’arco di un follow-up di 4,3 anni, il rischio di eventi CVD era simile per eGFR ridotto e albuminuria, mentre era molto più elevato quando erano presenti entrambe le manifestazioni [42]. Riguardo agli eventi renali, l’assenza di albuminuria è stata associata ad un rischio più basso nei pazienti con DT2 degli studi CRIC [40] e ADVANCE [42] e anche negli individui con DT1 dello studio FinnDiane [45]. Risultati simili sono stati riportati in precedenza in una casistica di piccole dimensioni che ha mostrato che, nell’arco di un follow-up di 38 mesi, nessun paziente normoalbuminurico con eGFR ridotto era deceduto o aveva sviluppato ESRD, a fronte di 5 pazienti con microalbuminuria e 17 con macroalbuminuria [181]. Allo stesso modo, l’analisi di un registro distrettuale di diabete ha mostrato che il declino annuale dell’eGFR in pazienti con DT1 e DT2 e un eGFR medio >75 ml/min/1,73 m2 era dello 0,3% nei normoalbuminurici, dell’1,5% nei microalbuminurici, e del 5,7% nei macroalbuminurici [182].

Pertanto, sebbene meno incline alla progressione verso l’ESRD, il fenotipo non albuminurico è gravato da un significativo rischio di morbilità e mortalità da CVD, che è pari o perfino superiore a quello associato all’albuminuria da sola e richiede quindi un più alto livello di attenzione e cura di quanto in genere non avvenga.

Riguardo alle misure terapeutiche, l’aumento della prevalenza dell’eGFR ridotto [11,12] e della mortalità ad esso associata, specialmente in assenza di albuminuria [75], indicano che nel modifiche nel trattamento, particolarmente l’uso crescente di bloccanti del RAS, non ha avuto un impatto favorevole sul declino dell’eGFR e sul fenotipo non albuminurico. Ciò implica che l’albuminuria e la perdita di eGFR possono richiedere differenti interventi terapeutici e che vi è necessità urgente di trattamenti efficaci nel rallentare il declino dell’eGFR.

Quindi, almeno in teoria, l’uso inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (angiotensin converting enzyme, ACE) e I bloccanti del recettore dell’angiotensina (angiotensin receptor blockers, ARBs) potrebbero non essere indicati in individui che presentano il fenotipo non albuminurico e potrebbero essere persino deleteri poiché questi farmaci aumentano la suscettibilità all’ischemia renale impedendo l’incremento “compensativo” della resistenza dell’arteriola efferente [183]. Purtroppo, non vi sono dati a supporto di questo assunto, per via della mancanza di studi di intervento che abbiano preso di mira specificamente gli con il fenotipo non albuminurico. Fino ad ora, infatti, tutti gli studi hanno incluso quasi esclusivamente pazienti con micro o macroalbuminuria al fine di valutare l’efficacia di un intervento nel favorire la regressione o bloccare la progressione dell’albuminuria [9]. Negli studi con bloccanti del RAS, gli ACE inibitori e gli ARBs hanno prodotto benefici simili [184,185] e sono risultati efficaci al di là dei loro effetti anti-ipertensivi nel prevenire la progressione verso l’ESRD in pazienti con macroalbuminuria [80-82], ma non in caso di livelli più bassi di albuminuria [186,187].

Box 1.5.
 La diagnosi di DKD è basata sia sull’albuminuria che sull’eGFR, calcolato preferibilmente usando l’equazione CKD-EPI. L’albuminuria dovrebbe essere confermata in due di tre campioni di urine raccolti in un periodo di 3- to 6-mesi, mentre la pendenza dell’eGFR dovrebbe essere calcolata in base a misurazioni frequenti della creatinina e/o della cistatina C, iniziando quando la funzione renale è ancora normale. Una biopsia renale dovrebbe essere eseguita nel sospetto di una malattia renale non diabetica. La prognosi della DKD è influenzata dall’aumentato rischio di progressione verso l’ESRD e di morbilità e mortalità da CVD. Rispetto al classico fenotipo albuminurico, quello non albuminurico è associate ad un egual rischio CVD, mentre il rischio di progressione verso l’ESRD è più basso. Il trattamento della DKD è efficace nel ridurre l’albuminuria, ma non il declino dell’eGFR, a suggerire che queste due manifestazioni della DKD possano richiedere differenti strategie terapeutiche, sebbene non vi siano dati da studi clinici su individui con insufficienza renale non albuminurica o declino renale progressivo.

 

2. Trattamento dell’iperglicemia nei pazienti con DT2 e ridotta funzione renale

Il trattamento dell’iperglicemia nei pazienti con DT2 e ridotta funzione renale rappresenta una sfida impegnativa per una serie di ragioni, che impongono di evitare o interrompere l’uso o di aggiustare la dose di alcuni farmaci anti-iperglicemici. Primo, il rene è, con il fegato, il sito principale del metabolismo ed escrezione dei farmaci [188]. Ciò implica che i livelli circolanti di farmaci che sono degradati e/o eliminati per via renale possano aumentare in questi soggetti, aumentando così il rischio di effetti avversi, inclusa l’ipoglicemia. Secondo, la riduzione della funzione renale è di per se un fattore di rischio per ipoglicemia, anche nei soggetti non diabetici [189], in quanto il rene contribuisce per circa il 30% alla produzione endogena di glucosio [190]. In aggiunta, nei soggetti con diminuita funzione renale, l’ipoglicemia è favorita dalla coesistenza di acidosi, che limita la capacità di compenso del fegato per la ridotta gluconeogenesi renale [191] e di malnutrizione e/o sarcopenia, che riducono i depositi epatici di glicogeno e la disponibilità di substrati gluconeogenici [192]. Terzo, poiché i pazienti con alterata funzione renale sono abitualmente esclusi dagli studi clinici, non vi sono sufficienti evidenze sull’efficacia e la sicurezza di svariati farmaci anti-iperglicemici in tali individui, specialmente in quelli con un eGFR <30 ml/min/1,73 m2 [193]. Infine, se confrontati con i pazienti senza DKD, quelli con DKD sono in genere più anziani, con più lunga durata di malattia, più frequentemente affetti da co-morbilità, soprattutto CVD, [194] e quindi più spesso in poli-terapia, con potenziali interazioni con i farmaci anti-iperglicemici [195].

A fronte di ciò, le opzioni terapeutiche per i pazienti con DT2 e ridotta funzione renale sono notevolmente aumentate negli ultimi decenni. Da un lato, svariate nuove classi di farmaci anti-iperglicemici sono state rese disponibili per il trattamento del DT2 [196]. Tra questi, gli agonisti recettoriali del glucagon-like peptide 1 (GLP-1) e gli inibitori della dipeptidl-peptidasi 4 (DPP-4) possono essere usati in sicurezza negli individui con ridotta funzione renale, mentre l’utilizzo degli inibitori del co-trasportatore sodio-glucosio 2 (sodium-glucose cotransporter 2, SGLT2) è soggetto a limitazioni [197]. In aggiunta, questi nuovi farmaci non causano ipoglicemia, tranne quando usati in combinazione con insulina e/o secretagoghi, e, soprattutto, studi di outcome cardiovascolare hanno dimostrato che, insieme con i benefici cardiovascolari, gli agonisti recettoriali del GLP-1 e gli SGLT2 inibitori garantiscono anche protezione renale, aprendo così promettenti prospettive per la prevenzione e il trattamento della DKD [198]. Da notare che la protezione renale da agonisti recettoriali del GLP-1 è limitata ad una ridotta progressione dell’albuminuria, mentre gli SGLT2 inibitori sembrano rallentare anche il declino dell’eGFR, sebbene gli outcomes renali non fossero obiettivi primari in questi studi [199]. Dall’altro lato, recenti dati real-world hanno mostrato un impiego diffuso di vecchi farmaci come la metformina e le sulfoniluree in pazienti con funzione renale ridotta, anche al di fuori delle indicazioni d’uso [200]. Tuttavia, tali dati hanno anche mostrato che, in questi soggetti, il rischio di acidosi lattica con metformina è inferiore a quanto atteso, così da indurre a riconsiderare il suo impiego nei pazienti con funzione renale moderatamente ridotta, che altrimenti sarebbero esclusi dai benefici effetti di questa sostanza [5].

La Figura 2 mostra le raccomandazioni relative all’uso e alle dosi dei farmaci anti-iperglicemici non insulinici attualmente disponibili in base ai livelli di eGFR.

Figure 2. Uso e dosi raccomandate dei farmaci non insulinici attualmente disponibili in base al livello di eGFR. eGFR = estimated glomerular filtration rate; DPP-4 = dipeptidl-peptidasi 4; GLP-1 = glucagon-like peptide 1; SGLT2 = sodium-glucose cotransporter 2.

Box 2.
  Il trattamento dell’iperglicemia nei pazienti con DT2 e ridotta funzione renale rappresenta una sfida impegnativa per una serie di ragioni, che impongono di evitare o interrompere l’uso o di aggiustare la dose di alcuni farmaci anti-iperglicemici. Le opzioni terapeutiche per i pazienti con DT2 e ridotta funzione renale sono notevolmente aumentate nel corso degli ultimi anni, per la disponibilità di nuove classi di farmaci anti-iperglicemici, che non causano ipoglicemia e, in alcuni casi, sembrano conferire protezione cardiorenale, e per la rivalutazione dell’uso di vecchi farmaci quali la metformina in questi individui.

 

2.1. Insulina e secretagoghi

In ragione del rischio aumentato di ipoglicemia correlato alla compromissione della funzione renale, l’insulina ed i secretagoghi dovrebbero essere usati con cautela nei pazienti con eGFR ridotto.

Tuttavia, il trattamento insulinico sia con preparati umani che con analoghi dell’insulina è sicuro in tutte le categorie di eGFR, sebbene possa presentarsi la necessità di ridurre il dosaggio in pazienti con disfunzione renale avanzata, specialmente nel caso delle insuline umane, che sono metabolizzate dall’insulinasi sia nel fegato che nel rene [201]. È stato stimato che la riduzione della clearance dell’insulina sia del 10-20% nei pazienti con CKD moderata-grave [202].

Al contrario, l’uso dei secretagoghi sulfoniluree e meglitinidi (o glinidi), che stimolano il rilascio di insulina dalla β-cellula in maniera glucosio-indipendente [203], dovrebbe essere ridotto in pazienti con compromissione renale, sebbene in misura variabile a seconda del composto specifico. La glibenclamide (nota anche come gliburide) dovrebbe essere evitata in pazienti con qualsiasi grado di disfunzione renale [5,197,204], in ragione della sua lunga durata d’azione e dell’escrezione per via renale di metaboliti attivi derivati dal metabolismo epatico del farmaco [205]. Per gli stessi motivi [206], la glimepiride dovrebbe essere evitata o iniziata prudentemente alla dose di 1 mg/die in pazienti con eGFR ridotto [5,197,204]. La gliclazide e la glipizide non sono controindicate nei pazienti con disfunzione renale, poiché sono metabolizzate nel fegato ed escrete nelle urine come metaboliti inattivi [207,208]; comunque, una particolare cautela è raccomandata anche per questi farmaci [5,197,204] e la glipizide dovrebbe essere iniziata prudentemente alla dose di 2.5 mg/die in pazienti con eGFR ridotto [5]. Infine, la meglitinide repaglinide è un secretagogo a breve durata d’azione, metabolizzato dal fegato a formare metaboliti inattivi che vengono escreti nelle feci attraverso la via biliare [209]. Per tali motivi, la repaglinide à largamente utilizzata in tutte le categorie di eGFR, nonostante il rischio di ipoglicemia sia rilevante per bassi livelli di eGFR (<30 ml/min/1.73 m2). Pertanto, la repaglinide dovrebbe essere iniziata prudentemente alla dose di 0.5 mg [5,197,204] e, in caso di eGFR in via di riduzione, la dose dovrebbe essere aggiustata oppure il farmaco dovrebbe essere sostituito con uno più sicuro quale un DPP-4 inibitore.

Box 2.1.
 Il trattamento insulinico sia con preparati umani che con analoghi dell’insulina è sicuro in tutte le categorie di eGFR, sebbene possa essere necessario ridurre il dosaggio in pazienti con disfunzione renale avanzata. L’uso dei secretagoghi sulfoniluree e meglitinidi dovrebbe essere limitato in pazienti con ridotta funzione renale per l’aumentato rischio di ipoglicemia. La glibenclamide dovrebbe essere evitata e la glimepiride dovrebbe essere evitata o iniziata prudentemente alla dose di 1 mg/die, mentre gliclazide, glipizide e repaglinide dovrebbero essere usate con cautela ed a dose ridotta.

 

2.2. Insulino-sensibilizzanti e inibitori dell’α-glicosidasi

L’uso degli insulino-sensibilizzanti biguanidi e tiazolidinedioni e degli inibitori dell’α-glicosidasi è gravato da un basso rischio di ipoglicemia.

Tra gli insulino-sensibilizzanti, la biguanide metformina è il farmaco di prima linea per il trattamento del DT2, nonostante il suo meccanismo di azione sia ancora discusso [210], con il crescente rilievo assunto dall’effetto a livello intestinale in aggiunta a quello nel fegato [211]. Poiché la metformina non è metabolizzata dal fegato ed è escreta immodificata nelle urine [212], le sue concentrazioni plasmatiche aumentano nei pazienti con disfunzione renale, di conseguenza, essa è controindicata in questi individui, sebbene la soglia di eGFR sia stata abbassata a <30 ml/min/1.73 m2 [5,197,204,213]. Inoltre, la metformina dovrebbe essere usata a dosaggio ridotto (di circa il 50%) o non dovrebbe essere iniziata in pazienti con eGFR 30-45 ml/min/1,73 m2, mentre nessun aggiustamento di dose è richiesto per un eGFR >45 ml/min/1,73 m2 [5,197,204,213]. In base ai risultati di studi clinici attualmente in corso, soglie di eGFR ancora meno stringenti potrebbero essere raccomandate per preparazioni di metformina a rilascio ritardato che hanno come bersaglio l’ileo, così da minimizzare l’esposizione sistemica mantenendo al tempo stesso l’efficacia nell’abbassare la glicemia [214]. Al contrario, condizioni caratterizzate da iperproduzione di lattato da tessuti ipossici, come l’insufficienza respiratoria e cardiocircolatoria e la grave anemia, e/o da alterata rimozione di lattato per ridotta gluconeogenesi, come le epatopatie avanzate, possono precipitare l’acidosi lattica in individui con ridotta funzione renale trattati con metformina e, di conseguenza, richiedono la sospensione del farmaco [214].

Il pioglitazone, l’unico tiazolidinedione attualmente disponibile per uso clinico nella maggior parte dei paesi Europei, attiva il peroxisome proliferator-activated receptor γ, un recettore nucleare che regola la trascrizione di geni coinvolti nel metabolismo glicidico e lipidico, aumentando così la sensibilità insulinica [215]. È metabolizzato interamente dal fegato [216] e, pertanto, non è necessario alcun aggiustamento di dose in base al livello di eGFR [5,197,204]. Comunque, è raccomandata cautela nei pazienti con disfunzione renale avanzata, per via dell’aumentato rischio di ritenzione idrica, anemia e fragilità ossea che caratterizza questi individui e che può essere amplificato dall’uso del pioglitazone [5,197,204].

L’acarbosio è un inibitore dell’α-glicosidasi che scinde i polisaccaridi in monosaccaridi, così da ritardare l’assorbimento intestinale di glucosio e ridurre il picco glicemico post-prandiale [217]. È metabolizzato dai batteri intestinali con produzione di diversi metaboliti, almeno uno dei quali presenta attività biologica; comunque, solo una piccola quantità del farmaco è assorbita [218] e meno del 2% viene riscontrata nelle urine come farmaco attivo, sia composto intatto che metabolita attivo [219]. Per tale ragione e per le limitate evidenze in pazienti con insufficienza renale grave, l’acarbosio dovrebbe essere evitato in individui con un eGFR <30 ml/min/1,73 m2 [5,197,204].

Box 2.2.
 La metformina è controindicata in pazienti con un eGFR <30 ml/min/1.73 m2 e in condizioni caratterizzate da iperproduzione di lattato da tessuti ipossici e/o da ridotta rimozione di lattato. Dovrebbe essere usata a dosi ridotte (di circa il 50%) o non dovrebbe essere iniziata in individui con un eGFR 30-45 ml/min/1.73 m2. Il pioglitazone può essere usato senza aggiustamento di dose, sebbene sia raccomandata cautela in pazienti con disfunzione renale avanzata, per l’aumentato rischio di ritenzione idrica, anemia e fragilità ossea. L’acarbosio dovrebbe essere evitato in individui con un eGFR <30 ml/min/1.73 m2.

 

2.3. Incretino-mimetici

Gli incretino-mimetici comprendono i DPP4 inibitori, che bloccano la degradazione DPP4-mediata delle incretine GLP-1 e gastric inhibitory polypeptide (GIP), così da aumentare e mantenere nel tempo i livelli endogeni di GLP-1 e GIP, e gli agonisti recettoriali del GLP-1, che sono degli analoghi incretinici DPP4-resistenti derivati dall’exendina-4 o dal GLP-1 umano [220]. Aumentando i livelli incretinici endogeni o esogeni, queste sostanze stimolano la secrezione insulinica e inibiscono quella di glucagone in maniera glucosio-dipendente, così da ridurre i livelli di glucosio senza causare ipoglicemia [220]. In aggiunta, in virtù dei livelli farmacologici di incretine raggiunti con gli agonisti recettoriali del GLP-1, queste sostanze riducono l’appetito ritardando lo svuotamento gastrico e inibendo i segnali ipotalamici oressigeni, producendo quindi una perdita di peso [221].

Tutti i DPP-4 inibitori sono metabolizzati dal fegato, sebbene in misura differente, e sono escreti per via renale, ad eccezione del linagliptin, di cui solo il 5% circa si ritrova nelle urine [222]. Pertanto, mentre il dosaggio di sitagliptin, vildagliptin, saxagliptin, e alogliptin dovrebbe essere titolato in base al livello di eGFR, il linagliptin non necessita di alcun aggiustamento di dose [5,197,204]. In ogni caso, tutti i DPP-4 inibitori possono essere utilizzati in sicurezza nei pazienti con disfunzione renale e, ad eccezione del saxagliptin, anche in quelli in dialisi [5,197,204]. L’eccellente profilo di sicurezza di questi farmaci, incluso il rischio estremamente basso di ipoglicemia, ne fa la principale opzione per il trattamento dei pazienti anziani con ridotta funzione renale e squilibrio metabolico di lieve o moderata entità che non richiedono una specifica protezione cardiovascolare [223]. In questi individui, dovrebbero essere preferiti ai secretagoghi, repaglinide inclusa.

Tra gli agonisti recettoriali del GLP-1, solo i derivati dell’exendina-4 exenatide e lixisenatide sono escreti per via renale e, di conseguenza, questi farmaci dovrebbero essere evitati se il eGFR è <30 ml/min/1,73 m2. Per converso, i derivati del GLP-1 umano liraglutide and dulaglutide possono essere usati fino ad un eGFR di 15 ml/min/1,73 m2, mentre non vi è sufficiente esperienza con questi farmaci in caso di valori di eGFR più bassi [224]. L’uso di questi farmaci può associarsi a sintomi gastrointestinali, che comunque tendono a scomparire con il tempo [225]. In ragione del loro potente effetto di riduzione della glicemia, questi farmaci rappresentano un’alternativa efficace e sicura all’insulina o, in combinazione con l’insulina basale, allo schema insulinico basal-bolus, al fine di ridurre il rischio di ipoglicemia e di aumento di peso [223]. In aggiunta, questi farmaci rappresentano un trattamento di prima linea nei pazienti obesi e in quelli con malattia cardiovascolare aterosclerotica in virtù dei loro effetti benefici sugli outcome cardiovascolari [223]. Al fine di assicurare protezione renale, possono essere usati anche nei pazienti con albuminuria ed eGFR <60 o 45 ml/min/1,73 m2 come alternativa agli inibitori del SGLT2 [223].

Box 2.3.
 I DPP-4 inibitori possono essere usati in pazienti con ridotta funzione renale, sebbene a dosaggio ridotto (tranne il linagliptin, che non richiede aggiustamento di dose), sono neutri sul peso e hanno un eccellente profilo di sicurezza. Gli agonisti recettoriali del GLP-1 possono essere usati fino ad un eGFR di 30 ml/min/1.73 m2 (exenatide e lixisenatide) o 15 ml/min/1.73 m2 (liraglutide e dulaglutide), favoriscono la perdita di peso e garantiscono protezione cardiovascolare e renale (quest’ultima limitata all’albuminuria), ma il loro uso può associarsi a sintomi gastrointestinali.

 

2.4. SGLT2 inibitori

Gli SGLT2 inibitori agiscono a livello renale inibendo il riassorbimento di glucosio (e sodio) nel tubulo prossimale, così da causare glicosuria, diuresi osmotica e, almeno inizialmente, natriuresi [226]. La perdita di substrati energetici con la glicosuria produce perdita di peso, mentre la perdita di acqua con la diuresi determina deplezione di volume e riduzione della pressione arteriosa [226]. Tra gli eventi avversi vi sono infezioni genitali e urinarie, sintomi di deplezione di volume e chetoacidosi euglicemica [227]. Poiché il riassorbimento di glucosio a livello del tubulo prossimale è correlato in maniera lineare con i livelli di glucosio ematico e con la quantità di glucosio filtrato dal glomerulo, gli SGLT2 inibitori non causano ipoglicemia, ma l’effetto di riduzione della glicemia è insufficiente in individui con eGFR ridotto [228]. Pertanto, questi farmaci non dovrebbero essere iniziati o dovrebbero essere sospesi per un eGFR <60 o 45 ml·min-1·1.73 m-2, rispettivamente; in aggiunta, la dose di empagliflozin e canagliflozin dovrebbe essere ridotta a 10 e 100 mg/die, rispettivamente, se l’eGFR è tra 45 e 59 ml/min/1.73 m2 [5,197,204]. Sebbene meno potenti degli agonisti recettoriali del GLP-1, gli SGLT2 inibitori possono essere utilizzati per ridurre il fabbisogno insulinico e il rischio di ipoglicemia nei pazienti insulino-trattati [223]. Inoltre, questi farmaci sono indicati in pazienti obesi e rappresentano un trattamento di prima scelta in quelli con malattia cardiovascolare aterosclerotica, scompenso cardiaco e/o DKD, a condizione che l’eGFR sia adeguato [223]. In ragione del fatto che gli studi di outcome cardiovascolare con gli SGLT2 inibitori hanno dimostrato che la protezione cardiorenale e l’effetto di riduzione della pressione arteriosa (e del peso corporeo) si mantenevano nei pazienti con eGFR <60 ml/min/1,73 m2 [229], è possibile che gli attuali limiti di eGFR per l’uso di questi farmaci vengano riconsiderati in futuro. I risultati positivi di un recente studio condotto su pazienti con DKD in cui l’outcome renale era l’endpoint primario [230] forniscono un’ulteriore indicazione in tal senso.

Box 2.4.
 Gli SGLT2 inibitori possono essere usati fino ad un eGFR di 60 o 45 ml/min/1.73 m2, poiché presentano un’insufficiente azione ipoglicemizzante al di sotto di questa soglia. Favoriscono la perdita di peso e garantiscono protezione cardiovascolare e renale (quest’ultima estesa alla perdita di eGFR), ma il loro uso può associarsi a effetti collaterali.

 

2.5. Considerazioni ulteriori

Le soglie di eGFR sopra menzionate al di sotto delle quali alcuni farmaci anti-iperglicemici dovrebbero essere usati a dose ridotta o anche interrotti implicano che la funzione renale debba essere regolarmente monitorata nei pazienti con DT2, a intervalli che dipendono dal livello attuale di eGFR e dalla sua stabilità nel tempo. In aggiunta, ai pazienti dovrebbe essere consigliato di interrompere il farmaco in caso di disidratazione, che può bruscamente ridurre l’eGFR aumentando così il rischio di effetti collaterali. Ciò è particolarmente importante in caso di trattamento con farmaci che favoriscono la disidratazione causando sintomi gastrointestinali come nausea, vomito e diarrea, quali metformina, acarbosio e antagonisti recettoriali del GLP-1, o aumentando la diuresi, come gli SGLT2 inibitori. In caso di instabilità dell’eGFR, farmaci anti-iperglicemici che richiedono aggiustamento di dose o interruzione al di sotto di una determinata soglia di eGFR non dovrebbero essere usati.

Box 2.5.
 Il trattamento di pazienti con ridotta funzione renale con farmaci anti-iperglicemici che richiedono aggiustamento di dose o interruzione al di sotto di una determinata soglia di eGFR necessita di regolare monitoraggio dell’eGFR. In caso di instabilità dell’eGFR, questi farmaci non dovrebbero essere usati.

Conclusioni

Negli ultimi decenni, è emersa sempre più l’eterogeneità della storia naturale della DKD, probabilmente come risultato dei miglioramenti nel trattamento. In particolare, sono stati descritti due nuovi fenotipi, l’insufficienza renale non albuminurica e il declino renale progressivo. Tuttavia, sebbene questi fenotipi vengano sempre più riconosciuti, la loro patogenesi e i loro correlati anatomici sono ancora poco chiari e richiedono ulteriori indagini e l’esecuzione di studi bioptici per scopi di ricerca.

Nello stesso periodo, diverse nuove classi di farmaci anti-iperglicemici sono state rese disponibili per il trattamento dei pazienti con DT2, compresi quelli con ridotta funzione renale, e alcuni di questi agenti hanno mostrato effetti di protezione cardio-renale. In aggiunta, l’uso di alcuni vecchi farmaci è stato riconsiderato nei pazienti con eGFR ridotto, così da aumentare le opzioni terapeutiche in questi individui.

 

 

Bibliografia

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